lunedì, ottobre 01, 2012

Il lievito madre contiene il lievito industriale o di birra?



L’argomento lievito di pasta acida o madre è tornato alla ribalta prepotentemente da un anno a questa parte; tutti ne parlano, scrivono, fanno convegni ecc., ma in realtà non rappresenta certo la scoperta del secolo. Gli egiziani già lo conoscevano e già avevano compreso, con le pur limitate conoscenze di allora, che conservando un pezzo di pasta e utilizzandolo nella lavorazione dell’indomani, il prodotto era migliore sia in termini di conservazione sia di caratteristiche organolettiche. La stessa cosa si può dire, in termini di storia, del blastomicete S. cerevisiae di cui Pasteur alla metà del 1800 aveva già identificato e studiato come essere vivente e responsabile della fermentazione alcolica.  L’utilizzo delle due tipologie differenti di azione microbica sull’impasto ha creato non pochi stravolgimenti nella panificazione dall’inizio del 1900 cioè da quando s’iniziò a produrre il S. cerevisiae su larga scala per la panificazione.  Il S. cerevisiae, se paragonato al lievito di pasta acida, presenta una serie di vantaggi dovuti alla facilità di utilizzo, alla miglior standardizzazione, ai ridotti tempi di lavoro, ma il prodotto presenta una conservazione molto limitata nel tempo rispetto a una lavorazione più complessa e sotto certi aspetti laboriosa. Il pregio invece dell’utilizzo del lievito di pasta acida naturale consiste nella conservazione molto più lunga del prodotto, digeribilità, migliori sensazioni organolettiche, ecc. Per anni si sono identificati questi due lieviti con una nomenclatura leggermente differente: il S. cerevisiae come lievito di birra, compresso, industriale, ecc. e il lievito di pasta acida naturale come: lievito naturale. La confusione in proposito era abbastanza notevole soprattutto perché questa nomenclatura era fonte d’innumerevoli discussioni, fraintendimenti, perizie, interpretazione ecc. Da una parte il S. cerevisiae è una cellula eucariota che, da un punto di vista strettamente microbiologico e scientifico, può vantare il titolo di essere realmente e correttamente identificato come “lievito” o blastomicete proprio perché lo è, anzi scientificamente appartiene alla classe Ascomycetes, ordine Endomycetales, famiglia Saccharomycetaceae, specie cerevisiae, inoltre, è stata la prima cellula eucariota ad avere il genoma sequenziato nel 1996. Dall’altra, in assenza di una definizione legale, era opinione comune diffusa e terminologia tecnica chiamare “lievito naturale” una massa di farina, naturalmente contaminata, e acqua nella quale si sviluppa una microflora specifica, casuale, contaminante, autoctona in costante evoluzione e in competizione nutrizionale. Nello stesso modo in cui, è gergo e opinione comune, tra i professionisti artigiani utilizzare la frase vado a fare i lieviti per dire vado a fare le bighe
Personalmente sono stata interpellata in più di un’occasione per cercare di dissipare quest’aggrovigliata matassa di malintesi e poca chiarezza e le domande … il lievito industriale è un lievito naturale? o ancora … il lievito industriale compie una lievitazione naturale? oppure… il lievito di pasta acida naturale contiene lievito di birra? O ancora …Io, il lievito industriale non lo considero lievito!  Sembrano ancora, per alcuni, i misteri del secolo. Chi dice di NO… Chi SI, arrivando a discussioni molto accese e qualche volta poco rispettose e maleducate da parte di qualche personaggio che, ergendosi a giudice, pontifica sulla sentenza. Personalmente non ho la presunzione di fare “chiarezza” su quest’argomento, ma semplicemente di esprimere, come sempre, una modesta opinione personale sull’argomento documentando la mia tesi con reports universitari e pubblicazioni scientifiche e non ultimo con il sano e mai abbastanza lodato buon senso da parte di Chi lavora quotidianamente sia con l’uno sia con l’altro. Scrissi circa un anno fa proprio un articolo su quest’argomento ribadendo che, per il fatto in cui il S. cerevisiae, lievito di birra, compresso, industriale che dir si voglia sia un essere vivente (si nutre, cresce, si duplica, muore, opera un metabolismo, ecc.) di fatto è “naturale” e pertanto, a mio parere, aveva tutti i diritti di essere chiamato lievito naturale, cosi come la massa di farina e acqua costituita da una microflora selvaggia di batteri lattici, acetici e lieviti, autoctona, artigianale e specifica aveva gli stessi diritti. Entrambi erano “lieviti naturali” in grado cioè di compiere una lievitazione biologica naturale. E’ chiaro che tecnicamente, praticamente e microbiologicamente (generi, specie, UFC/g di lieviti, UFC/g di batteri, ecc.) sono completamente differenti, ma comunque in ogni caso formati da esseri viventi entrambi e pertanto, di fatto, entrambi tecnicamente e correttamente in grado di operare proprio una lievitazione biologica naturale. Da un punto di vista microbiologico la specie microbica presente quasi come coltura pura nel lievito di birra, industriale, compresso è rappresentata unicamente dal Saccharomyces cerevisiae in una concentrazione pari a circa 108 UFC/g cioè in un solo grammo di lievito compresso vi sono circa 10 miliardi di cellule vive e attive cioè in grado di crescere, riprodursi, compiere metabolismi e morire. Nel lievito di pasta acida naturale artigianale invece la microflora è eterogenea, selvaggia, casuale, unica, autoctona, in continua evoluzione microbica e dipende a sua volta da fattori sia endogeni (carica microbica delle materie prime utilizzate, accumulo metaboliti secondari, competizione nutrizionale, presenza di particolari sostanze nutritive, iterazione microbica, ecc.) sia esogeni (temperatura, U.R., pH, presenza di cloruro di sodio, presenza/assenza di ossigeno ecc.). In letteratura, si trovano innumerevoli lavori di differenti AA sia italiani sia stranieri che dimostrano quali siano le specie microbiche identificate all’interno di madri artigianali; tra i batteri lattici sono state identificate più di 50 specie appartenenti al genere Lactobacillus. Pediococcus, Leuconostoc, ecc. e più di 20 specie di lieviti appartenenti al genere Saccharomyces, Candida, Torulopsis, Pichia tra i quali proprio la specie Saccharomyces cerevisiae oltre a S. exiguus, Candida Krusei ecc. Come si evince dall’identificazione microbiologica delle madri, il S. cerevisiae non è in coltura pura come nel lievito di birra, compresso, industriale, ma convive alla presenza di altre specie microbiche in un ecosistema naturale. Può essere l’unica specie rappresentativa dei blastomiceti nelle madri cosi come convivere con altre specie di lieviti e comunque, in ogni caso è presente con un valore espresso in UFC/g inferiore al lievito di birra, industriale, compresso (indicativamente 108 UFC/g per il lievito compresso fresco). Inoltre l’identificazione microbica delle madri, dalla quale dipendono tutte le caratteristiche tecnologiche, reologiche, sensoriali, conservative, nutrizionali, microbiologiche ha sempre riportato come la coltura dei batteri lattici sia indicativamente maggiore rispetto ai lieviti di circa 2 ordini di grandezza anche se ultimamente in alcune madri i batteri lattici e i lieviti sono risultati dello stesso ordine di grandezza. Nelle madri artigianali quindi il S. cerevisiae è stato trovato anche se in quantità minore, in relazione microbica con altre specie, con crescita, sviluppo e metabolismi modificati, utilizzo di substrati fermentativi modificati ecc. ecc. e pertanto mi sento di affermare che, valutati i reports universitari su tale argomento e le analisi microbiologiche effettuate e pubblicate sulle maggiori testate scientifiche nazionali e mondiali, nella madre artigianale o lievito di pasta acida naturale, il lievito compresso, industriale, di birra, tecnicamente e in concreto … è presente quindi C’E’! E’ chiaro che siamo in due contesti differenti, in due realtà distinte, ma la sua presenza mi pone alcune personali riflessioni dettate anche dal famoso buon senso. E’ doveroso e sacrosanto a mio parere informare correttamente il consumatore della presenza comunque di S. cerevisiae nel lievito di pasta acida naturale poiché la madre è sempre gestita, rinfrescata e lavorata all’interno di un panificio artigianale che è “contaminato” da spore di S. cerevisiae, le quali a loro volta daranno origine alla forma vegetativa nella madre stessa, è ubiquitario, sporigeno, non patogeno, ecc. La maggior parte dei consumatori, dei medici, dei dietologici, degli operatori di settore, ecc. invece pensa che non sia presente! In funzione della sempre crescente insorgenza di patologie legate ad allergie e/o intolleranze alimentari (vere o presunte non entro in merito!), in conseguenza delle attuali scarse informazioni biomediche se vi sia o no una concentrazione minima del blastomicete (UFC/g) in grado di scatenare nell’individuo la risposta immunitaria, oppure in assenza di conoscenze certe su quali siano i componenti del S. cerevisiae in grado di scatenare le reazioni immunomediate e non (forse una particolare sequenza amminoacidica di alcuni carriers di membrana) e non sapendo la gravità dell’allergia/intolleranza, mi sento in obbligo di informare scrupolosamente il consumatore della presenza e dell’eventuale rischio che cellule di S. cerevisiae siano presenti nella madre.  In ogni caso, a parte il discorso importante delle allergie/intolleranze, delle caratteristiche organolettiche e della conservazione migliore dei prodotti non capisco, dove sia il problema di utilizzare il S. cerevisiae o di birra, industriale, compresso che dir si voglia per fare il pane, la pizza ecc. ma soprattutto non riesco a comprendere quest’ attacco mediatico e questa demonizzazione nei confronti di un blastomicete che svolge un ruolo estremamente importante e insostituibile nella reologia e tecnologia dell’impasto da pane, pizza, ecc. Personalmente… un’ idea me la sono fatta!

 -  PIZZA E PASTA, XXIII, 8, 2012  -



venerdì, agosto 03, 2012

Pane e pizza: due mondi un'unica passione



…Rodo il bianco pan che appena cotto
Dal suo cesto fumante a se m’invita.
(G. Leopardi)

Autore: Lauri S. 
Titolo: Pane e pizza: due mondi un'unica passione, FIP, Messina.  
Casa editrice FIP nel Mondo
ISBN 9788890708909
Anno 2012
COSTO 59,00 euro  Spedizione con tracciabilità  INCLUSA
Per ordini marketing@quotidiemagazine.it



Prefazione S. Lauri
Questo libro nasce dalla necessità di creare un punto d’incontro solido e duraturo tra due mondi che, seppur fratelli, hanno sempre fatto a sé anzi qualche volta si sono fortemente criticati l’uno con l’altro. In un momento non roseo per il settore dell’arte bianca sia per l’enorme concorrenza dei prodotti industriali confezionati sia per le ennesime critiche di scarsa professionalità mosse agli artigiani, il volume vuole essere un punto di forza e di unione per un settore desideroso di respingere tutto quello che di falso è stato detto fino a questo momento. Non è di facile lettura anzi a tratti utilizza un linguaggio volutamente ed estremamente articolato, soprattutto quando si cerca di spiegare complessi equilibri e reazioni chimiche che determinano l’estrema eterogeneità, instabilità e complessità dei prodotti dell’arte bianca. E’ un testo per Chi ha la voglia e la curiosità di approfondire scientificamente e con estrema consapevolezza le proprie conoscenze, per garantire sempre al consumatore un dialogo diretto fatto di correttezza ed estrema professionalità. Un testo che non ha la presunzione di insegnare nulla a nessuno, ma solo impartire dei consigli ed offrire spunti di riflessione. Adatto a tutti: consumatori, operatori e professionisti (medici, nutrizionisti, ecc.) desiderosi di approfondire alcuni aspetti specifici dei prodotti dell’arte bianca alla ricerca di una sempre maggiore naturalità. Non solo reports universitari, ma una guida che conduce nella realtà quotidiana dell’artigianalità, dove la continua ricerca e attenzione ai particolari, lo studio costante di prodotti innovativi, le tecniche di lavoro, la storia, la Fede, le tradizioni e la flessibilità unica del comparto artigianale, sono ancora in grado di suscitare … emozioni vere! “Dall’alto di queste piramidi quaranta secoli di storia vi guardano” frase epica di Napoleone, ma che si addice meravigliosamente al pane e alla pizza che fecero la storia gastronomica italiana e mondiale tanto quanto le piramidi egiziane. 
Il pane e la pizza sono sempre stati semplicità e la semplicità è …un’arte da tramandare con fermezza e convinzione nei secoli avvenire. 

sabato, maggio 19, 2012

Panificatori al Campionato del Mondo della pizza 2012


Qualche anno fa. La Dott.ssa Lauri mi disse che aveva un sogno: far sì che due categorie quella dei pizzaioli e dei panificatori, potessero andare d’accordo anzi che collaborassero attivamente tra di loro, cosa fino a quel momento irrealizzabile perché, come due fratelli, erano in continua lotta. Inizialmente non le diedi peso perché consideravo l’impresa un pochino impossibile, ma come sempre, non tenni conto della sua tenacia e determinazione, unite a doti umane di umiltà, comunicabilità, correttezza, scrupolosità e preparazione. Gli anni passavo e nel frattempo lei è diventata Presidente Nazionale Lady Pizza della Federazione Italiana Pizzaioli nel Mondo con sedi e scuole in tutto il mondo ed stava realizzando quel desiderio. Infatti, eccomi qui a raccontare un’impresa che, grazie a lei, mi ha visto protagonista: la partecipazione mia e di alcuni panificatori della FIPPA in giuria al 21° Campionato del Mondo di pizza svoltosi a Salsomaggiore dal 16 al 18 aprile 2012. Per la prima volta in assoluto nella storia del Campionato la FIPPA è stata presente, in delegazione, ad una manifestazione di tale portata, portando i suoi uomini/donne a sedersi a fianco di chefs e pizzaioli internazionali! Simona Lauri, Carla Barbieri, Fabrizio Nistri, Angelo Tudisco hanno detto sì. Simona prima e poi a seguire Fabrizio erano già presenti da alcuni anni a tale evento, ma come spesso succede, nessuno di noi della FIPPA ha mai dato importanza a questo fatto relegando la notizia come … di poco conto ed irrilevante. Già a Verona, Simona e Fabrizio avevano fatto esibire la Campionessa del Mondo di pizza classica in carica Rosa Casulli, ma ancora una volta nessuno di noi, vertici federali compresi, li ha ascoltati! Imperterriti sono andati avanti fino all’IMPRESA storica di Salsomaggiore. Non solo, ma Simona, Fabrizio ed Angelo hanno inoltre formato la giuria dei professionisti che ha valutato le presentazioni artistiche sulla base di un dettagliato regolamento fatto proprio da Simona e Fabrizio. Come categoria dobbiamo veramente imparare tanto dai pizzaioli perché in effetti ci siamo sempre vantati di saper fare la pizza, ma nessuno di noi sa cosa sia il concetto di “maturazione” e Chi lo sa, non lo ha mai preso in considerazione seriamente. Ecco proprio cosi, pochissimi panificatori considerano questa fase della lavorazione, mentre la maggior parte pensa di poter fare un ottimo prodotto passando semplicemente un po’ di pomodoro e mozzarella magari sulla pasta avanzata di qualche impasto e di cuocere il prodotto due ore dopo. Dobbiamo imparare tanto dai pizzaioli e ve lo dice una che la pizza pensava proprio si facesse così! Delegazioni dal Giappone, America, Svizzera, Croazia, Bulgaria, Francia, Australia, Germania, Cina, Irlanda, Italia che concorrevano per il titolo di campioni del Mondo di pizza classica, pizza in teglia, STG, free style singolo e a squadre, pizza senza glutine, pizza a due (pizzaiolo e chef insieme) e Presentazioni artistiche pronte ad aiutarsi tra loro, in qualsiasi momento, con grande umiltà come fossero un’unica grande delegazione. Si respirava un’ aria pulita, allegra, collaborativa abbinata a professionismo di elevatissimo livello e totale assenza di giochi di potere o sotterfugi particolari. Le quattro giurie erano composte da quattro giudici scelti casualmente tra circa 50 giudici chiamati apposta per l’occasione, da ogni parte del mondo, il cui compito era quello di valutare sia il gusto sia la cottura sommando i relativi punteggi. I risultati, a loro volta, venivano inviati ad un elaboratore che provvedeva a stipulare la classifica dei voti accumulati sia come punteggio di giura “Gusto Cottura” sia come punteggio dei giudici ai forni. Tutto questo veniva realizzato ogni volta e per un totale di circa 400 iscritti. Se tutto questo può non bastare per sottolineare la correttezza assoluta della votazione si abbini il fatto che sul campo di gara era presente anche la figura del Coordinatore di Giuria il cui compito era quello di indirizzare il concorrente verso una giuria o un altra in modo tale che fino all’ultimo secondo nessuno giudice/concorrente potesse sapere di chi fosse la pizza in esame e/o da quali giudici fosse valutata. Inoltre i concorrenti che partecipavano con la specialità Pizza STG si dovevano attenere ad un dettagliato disciplinare redatto alcuni anni fa da alcuni pizzaioli napoletani per tutelare una determinata tipologia di prodotto del territorio. Se la pizza presentata come specialità STG non rispettava pienamente il regolamento era immediatamente penalizzata. Devo dire che la partecipazione a un tale evento mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto riflettere sul nostro stato di panificatori inteso come categoria: noi abbiamo la forza di un sindacato federale, loro no; loro hanno la fantasia, l’allegria e l’umiltà, noi un pochino l’abbiamo persa. Loro vogliono imparare da noi a fare il pane, noi invece pensiamo di sapere fare la pizza meglio di loro. L’umiltà è sempre stata una nostra caratteristica, ma ultimamente qualche cosa è cambiato: siamo cambiati noi o ci siamo fatti cambiare?

Carla Barbieri - Presidente Panificatori Pavia