L’argomento
lievito di pasta acida o madre è tornato alla
ribalta prepotentemente da un anno a questa parte; tutti ne parlano, scrivono,
fanno convegni ecc., ma in realtà non rappresenta certo la scoperta del secolo.
Gli egiziani già lo conoscevano e già avevano compreso, con le pur limitate
conoscenze di allora, che conservando un pezzo di pasta e utilizzandolo nella
lavorazione dell’indomani, il prodotto era migliore sia in termini di
conservazione sia di caratteristiche organolettiche. La stessa cosa si può dire,
in termini di storia, del blastomicete S.
cerevisiae di cui Pasteur alla metà del 1800 aveva già identificato e
studiato come essere vivente e responsabile della fermentazione alcolica. L’utilizzo delle due tipologie differenti di
azione microbica sull’impasto ha creato non pochi stravolgimenti nella
panificazione dall’inizio del 1900 cioè da quando s’iniziò a produrre il S. cerevisiae su larga scala per la
panificazione. Il S. cerevisiae, se paragonato al lievito di pasta acida, presenta
una serie di vantaggi dovuti alla facilità di utilizzo, alla miglior standardizzazione,
ai ridotti tempi di lavoro, ma il prodotto presenta una conservazione molto limitata
nel tempo rispetto a una lavorazione più complessa e sotto certi aspetti
laboriosa. Il pregio invece dell’utilizzo del lievito di pasta acida naturale consiste
nella conservazione molto più lunga del prodotto, digeribilità, migliori
sensazioni organolettiche, ecc. Per anni si sono identificati questi due
lieviti con una nomenclatura leggermente differente: il S. cerevisiae come lievito di birra, compresso, industriale, ecc. e
il lievito di pasta acida naturale come: lievito naturale. La confusione in
proposito era abbastanza notevole soprattutto perché questa nomenclatura era
fonte d’innumerevoli discussioni, fraintendimenti, perizie, interpretazione
ecc. Da una parte il S. cerevisiae è una
cellula eucariota che, da un punto di vista strettamente microbiologico e
scientifico, può vantare il titolo di essere realmente e correttamente
identificato come “lievito” o blastomicete proprio perché lo è, anzi
scientificamente appartiene alla classe Ascomycetes,
ordine Endomycetales, famiglia Saccharomycetaceae, specie cerevisiae, inoltre, è stata la prima
cellula eucariota ad avere il genoma sequenziato nel 1996. Dall’altra, in
assenza di una definizione legale, era opinione comune diffusa e terminologia
tecnica chiamare “lievito naturale” una massa di farina, naturalmente
contaminata, e acqua nella quale si sviluppa una microflora specifica, casuale,
contaminante, autoctona in costante evoluzione e in competizione nutrizionale.
Nello stesso modo in cui, è gergo e opinione comune, tra i professionisti
artigiani utilizzare la frase vado a fare
i lieviti per dire vado a fare le
bighe…
Personalmente
sono stata interpellata in più di un’occasione per cercare di dissipare quest’aggrovigliata
matassa di malintesi e poca chiarezza e le domande … il lievito industriale è un lievito naturale? o ancora … il lievito industriale compie una lievitazione
naturale? oppure… il lievito di pasta
acida naturale contiene lievito di birra? O ancora …Io, il lievito industriale non lo considero lievito! Sembrano ancora, per alcuni, i misteri del
secolo. Chi dice di NO… Chi SI, arrivando a discussioni molto accese e qualche
volta poco rispettose e maleducate da parte di qualche personaggio che,
ergendosi a giudice, pontifica sulla sentenza. Personalmente non ho la
presunzione di fare “chiarezza” su quest’argomento, ma semplicemente di
esprimere, come sempre, una modesta opinione personale sull’argomento
documentando la mia tesi con reports universitari e pubblicazioni scientifiche
e non ultimo con il sano e mai abbastanza lodato buon senso da parte di Chi
lavora quotidianamente sia con l’uno sia con l’altro. Scrissi circa un anno fa proprio
un articolo su quest’argomento ribadendo che, per il fatto in cui il S. cerevisiae, lievito di birra,
compresso, industriale che dir si voglia sia un essere vivente (si nutre,
cresce, si duplica, muore, opera un metabolismo, ecc.) di fatto è “naturale” e
pertanto, a mio parere, aveva tutti i diritti di essere chiamato lievito
naturale, cosi come la massa di farina e acqua costituita da una microflora
selvaggia di batteri lattici, acetici e lieviti, autoctona, artigianale e
specifica aveva gli stessi diritti. Entrambi erano “lieviti naturali” in grado
cioè di compiere una lievitazione biologica naturale. E’ chiaro che
tecnicamente, praticamente e microbiologicamente (generi, specie, UFC/g di
lieviti, UFC/g di batteri, ecc.) sono completamente differenti, ma comunque in
ogni caso formati da esseri viventi entrambi e pertanto, di fatto, entrambi
tecnicamente e correttamente in grado di operare proprio una lievitazione
biologica naturale. Da un punto di vista microbiologico la specie microbica
presente quasi come coltura pura nel lievito di birra, industriale, compresso è
rappresentata unicamente dal Saccharomyces
cerevisiae in una concentrazione pari a circa 108 UFC/g cioè in
un solo grammo di lievito compresso vi sono circa 10 miliardi di cellule vive e
attive cioè in grado di crescere, riprodursi, compiere metabolismi e morire.
Nel lievito di pasta acida naturale artigianale invece la microflora è
eterogenea, selvaggia, casuale, unica, autoctona, in continua evoluzione
microbica e dipende a sua volta da fattori sia endogeni (carica microbica delle
materie prime utilizzate, accumulo metaboliti secondari, competizione
nutrizionale, presenza di particolari sostanze nutritive, iterazione microbica,
ecc.) sia esogeni (temperatura, U.R., pH, presenza di cloruro di sodio,
presenza/assenza di ossigeno ecc.). In letteratura, si trovano innumerevoli
lavori di differenti AA sia italiani sia stranieri che dimostrano quali siano
le specie microbiche identificate all’interno di madri artigianali; tra i
batteri lattici sono state identificate più di 50 specie appartenenti al genere
Lactobacillus. Pediococcus, Leuconostoc,
ecc. e più di 20 specie di lieviti appartenenti al genere Saccharomyces, Candida, Torulopsis, Pichia tra i quali proprio la
specie Saccharomyces cerevisiae oltre
a S. exiguus, Candida Krusei ecc. Come
si evince dall’identificazione microbiologica delle madri, il S. cerevisiae non è in coltura pura come
nel lievito di birra, compresso, industriale, ma convive alla presenza di altre
specie microbiche in un ecosistema naturale. Può essere l’unica specie
rappresentativa dei blastomiceti nelle madri cosi come convivere con altre
specie di lieviti e comunque, in ogni caso è presente con un valore espresso in
UFC/g inferiore al lievito di birra, industriale, compresso (indicativamente 108
UFC/g per il lievito compresso fresco). Inoltre l’identificazione microbica
delle madri, dalla quale dipendono tutte le caratteristiche tecnologiche,
reologiche, sensoriali, conservative, nutrizionali, microbiologiche ha sempre
riportato come la coltura dei batteri lattici sia indicativamente maggiore
rispetto ai lieviti di circa 2 ordini di grandezza anche se ultimamente in alcune
madri i batteri lattici e i lieviti sono risultati dello stesso ordine di
grandezza. Nelle madri artigianali quindi il S. cerevisiae è stato trovato anche se in quantità minore, in
relazione microbica con altre specie, con crescita, sviluppo e metabolismi
modificati, utilizzo di substrati fermentativi modificati ecc. ecc. e pertanto
mi sento di affermare che, valutati i reports universitari su tale argomento e
le analisi microbiologiche effettuate e pubblicate sulle maggiori testate
scientifiche nazionali e mondiali, nella madre artigianale o lievito di pasta
acida naturale, il lievito compresso, industriale, di birra, tecnicamente e in
concreto … è presente quindi C’E’! E’ chiaro che siamo in due
contesti differenti, in due realtà distinte, ma la sua presenza mi pone alcune
personali riflessioni dettate anche dal famoso buon senso. E’ doveroso e
sacrosanto a mio parere informare correttamente il consumatore della presenza
comunque di S. cerevisiae nel lievito
di pasta acida naturale poiché la madre è sempre gestita, rinfrescata e
lavorata all’interno di un panificio artigianale che è “contaminato” da spore
di S. cerevisiae, le quali a loro
volta daranno origine alla forma vegetativa nella madre stessa, è ubiquitario, sporigeno,
non patogeno, ecc. La maggior parte dei consumatori, dei medici, dei
dietologici, degli operatori di settore, ecc. invece pensa che non sia
presente! In funzione della sempre crescente insorgenza di patologie legate ad
allergie e/o intolleranze alimentari (vere o presunte non entro in merito!), in
conseguenza delle attuali scarse informazioni biomediche se vi sia o no una
concentrazione minima del blastomicete (UFC/g) in grado di scatenare nell’individuo
la risposta immunitaria, oppure in assenza di conoscenze certe su quali siano i
componenti del S. cerevisiae in grado
di scatenare le reazioni immunomediate e non (forse una particolare sequenza
amminoacidica di alcuni carriers di membrana) e non sapendo la gravità dell’allergia/intolleranza,
mi sento in obbligo di informare scrupolosamente il consumatore della presenza
e dell’eventuale rischio che cellule di S.
cerevisiae siano presenti nella
madre. In ogni caso, a parte il discorso
importante delle allergie/intolleranze, delle caratteristiche organolettiche e
della conservazione migliore dei prodotti non capisco, dove sia il problema di
utilizzare il S. cerevisiae o di
birra, industriale, compresso che dir si voglia per fare il pane, la pizza ecc.
ma soprattutto non riesco a comprendere quest’ attacco mediatico e questa
demonizzazione nei confronti di un blastomicete che svolge un ruolo
estremamente importante e insostituibile nella reologia e tecnologia dell’impasto
da pane, pizza, ecc. Personalmente… un’ idea me la sono fatta!
- PIZZA
E PASTA, XXIII, 8, 2012 -