lunedì, marzo 24, 2014

Il pane è vita, l'olio la sua anima.



Relazione presentata al Convegno Olio Officina Food Festival – Palazzo delle Stelline.
Milano 26 gennaio 2013

Nella storia dell’umanità questi due alimenti conobbero, per la maggior parte dei millenni, vite parallele dovute principalmente ai differenti utilizzi non alimentari ai quali era destinato l’olio d’oliva. La coltivazione della pianta dell’olivo risale al 7000 a.C. circa in Siria, ma i veri e propri produttori, commercianti e olivicoltori della storia furono gli Etruschi popolo che occupava il territorio italiano dall’attuale Emilia Romagna, Toscana fino alla costa Laziale prima dello sviluppo della civiltà romana. Seppur la panificazione abbia i suoi padri negli egiziani, che furono i primi a riconoscere la professione di Fornaio, si deve ai Greci il primo pane con olio e olive. A loro volta i greci importavano il frumento dall’Egitto perché le geo localizzazione delle terre non consentiva la coltivazione di questo cereale che amava la pianura e la fertilità del Nilo. Furono i primi a creare i forni pubblici e divennero anch’essi ben presto degli abili panificatori offrendo sempre a Demetra, Dea della Madre Terra, il pane frutto del lavoro della Terra. A loro volta, da schiavi e prigionieri dei romani, insegnarono a questo popolo l’arte panificatoria e ben presto i romani divennero abili agricoltori, mugnai e panificatori.  Furono i primi ad ampliare le aree destinate alle coltivazioni di grano e a fare i primi incroci botanici per migliorare la qualità e la resa del frumento (prima era consumato il farro!).  Il pane divenne ben presto simbolo distintivo di classe sociale e cibo espressamente realizzato per ogni occasione. Per quanto riguarda invece l’olio, il problema dell’epoca era dovuto al fatto che questo grasso era scarsamente utilizzato come alimento e quando lo era rappresentava anch’esso una vera e propria distinzione di civiltà e ceto. Era il condimento simbolo della nobiltà romana. Per i romani, i popoli che usavano l’olio come grasso alimentare erano definiti civili, mentre quelli che non lo usavano erano barbari. Gli stessi romani cosi come i greci e i popoli che abitavano la Palestina, però destinavano l’utilizzo principale dell’olio all’illuminazione soprattutto nelle catacombe e la Bibbia stessa riporta numerosissime citazioni in cui si evidenzia il suo utilizzo nelle lampade. Oltre a ciò era decisamente un ottimo medicinale, unguento e rassodante dei muscoli degli atleti per renderli più forti e dare loro energia nel combattimento. Indicativamente il 476 a.C. segnò una svolta di civiltà e cultura; non rappresenta solo l’inizio della decadenza dell’impero Romano, ma la distruzione dei forni pubblici, il passaggio alla panificazione privata e l’inizio di secoli di carestie, dazi, guerre e calamità naturali che videro nel pane il simbolo di mancanza di cibo, povertà assoluta e lotte sociali. Tra il 1600 e il 1700 sul territorio italiano non c’era frumento e la gente si accontentava di macinare quello che trovava comprese le ghiande e i lupini. Rappresentativa dell’epoca fu la rivolta di S. Martino con il classico assalto ai forni descritto da A. Manzoni.  Se da una parte mancava quindi il grano e l’olio d’oliva, soprattutto nell’Italia settentrionale, era usato per i saponifici e l’industria della lana, dall’altra la mozzarella di bufala già era citata nei libri di cucina del 1570 e aveva fatto il suo ingresso in Italia il pomodoro sempre in quegli anni. Nel settore gastronomico l’Italia era divisa; al Sud con il diffondersi della pizza 1700 – 1800 si diffondeva anche la coltura dell’olio come condimento alimentare, mentre al Nord restava una frontiera quasi invalicabile a favore del burro, del lardo e della sugna. Occorre risalire alla tipicizzazione di alcuni prodotti di arte bianca locali del Nord per trovare la citazione dell’olio d’oliva nella formulazione dell’impasto. E’ abbastanza curioso e singolare leggere la storia di alcuni dei prodotti che ancora oggi segnano dei capisaldi della cucina tradizionale e capire come anche in quei casi la formulazione dell’impasto con olio d’oliva fu prettamente casuale rilevando ancora una volta la poca considerazione di questo grasso nella cucina dell’Italia settentrionale. Senza mancare  di rispetto a nessun prodotto tradizionale italiano, ma dovendo per ovvi motivi rappresentarne solo un paio, mi pare doveroso prendere ad esempio sia la farinata di ceci sia la fugassa genovese come prodotti rappresentativi di quella che per l’epoca era simbolo di povertà nel settore dell’arte bianca oltre a rappresentare una rarità per l’utilizzo dell’olio d’oliva. La prima risale al 1284 dopo la battaglia di Meloria in cui i Genovesi sconfissero i Pisani. Durante una tempesta tutte le stive delle navi furono sommerse di acqua salata rovesciando i contenitori di olio (la cui presenza nelle stive si dubita fosse espressamente per scopi alimentari) e i sacchi di farina di ceci. La forza del mare fece il resto! Avendo esaurito le scorte alimentari, i genovesi costrinsero i prigionieri pisani a mangiare quella mistura la quale, finita la tempesta e con il calore del sole, divenne un ottimo cibo. Da quel momento i Genovesi chiamarono quel prodotto Oro di Pisa e con Decreti Successivi di cui uno del 1447 imponevano l’utilizzo di buon olio d’oliva per la sua formulazione. La fugassa genovese, il cui termine deriva da fuga nel senso di “andare di fretta”, invece era il cibo dei poveri, a basso costo, usata per sfamare la gente e consumata in piedi e appunto di fretta. La bibliografia la fa risalire al 1500, anche se qualcuno fa datare la sua invenzione intorno al 1200. La sua formulazione era semplicissima: farina, acqua, sale, lievito e olio. Nel 1500 il suo consumo si diffuse immediatamente soprattutto nelle Chiese durante le cerimonie, matrimoni e funerali compresi, tanto che suscitò ben presto le ire dei Vescovi di allora che impedirono il consumo in Chiesa, ma non certo all’esterno! Continuò a essere consumata e molto apprezzata dai genovesi diventando uno dei simboli gastronomici della città.  Anche se la storia non sempre ha condiviso l’abbinamento pane e olio a mio parere la definizione: Il pane è vita, l’olio la sua anima rappresenta una verità assoluta sia in termini tecnologici sia religiosi in cui il pane è il corpo di Cristo e quindi vita, mentre l’olio la consacrazione, elevazione e salvezza divina quindi anima. La vita e l’anima, almeno nella nostra esistenza terrena, sono una cosa sola e pertanto non si può parlare di pane se non si cita l’olio extravergine d’oliva: sia per degustarne i fruttati più o meno intensi su una fetta di pane leggermente caldo sia per apprezzarne le implicazioni tecnologiche sulle caratteristiche sensoriali e conservative del pane. Solo per citare l’azione principale dell’olio d’oliva sul raffermimento del pane è doveroso riportare alcune implicazioni di carattere fisico e chimico – fisico che prevedono: un’efficacia maggiore dell’azione dei lipidi insaturi cis sui complessi di amilosio, prevenzione della gelatinizzazione, impedimento della migrazione delle molecole di acqua tra amido e proteine e riduzione dell’evaporazione superficiale, della sublimazione e del valore di aw del prodotto. E’ abbastanza intuibile come l’azione chimica e chimico – fisica dei lipidi insaturi non si riferisca solo al raffermimento, ma vada ben oltre questa fase di shelf – life, esercitando un’azione sinergica positiva in termini di: proprietà reologiche della struttura glutinica, lubrificante, colorazione della crosta, sviluppo di maggiori aromi se abbinato a specifiche lavorazioni, congelamento/scongelamento, espansione degli alveoli e conseguentemente incremento del volume, inibizione microbica, ecc. Partendo quindi dal concetto che: La storia del pane è la storia stessa dell’uomo, dei popoli, del progresso, delle civiltà, delle tradizioni, delle lotte che sempre e dappertutto si combatterono per il miglioramento sociale e per la libertà. Non conosce inventori, ma è … patrimonio dell’intera umanità!  e basandomi sull’estrema attualità del principio di Fauerbach, in una realtà di falsi e contraffazioni, ritengo vitale questo convegno e doveroso che ciascuno di noi s’impegni a tutelare la nostra storia, diffondere e difendere le nostre tradizioni e le vere realtà italiane di pane, olio, vino, ecc. Cosi facendo… tuteleremo noi stessi e le generazioni future.