Relazione presentata al
Convegno Olio Officina Food Festival – Palazzo delle Stelline.
Milano 26 gennaio
2013
Nella
storia dell’umanità questi due alimenti conobbero, per la maggior parte dei
millenni, vite parallele dovute principalmente ai differenti utilizzi non
alimentari ai quali era destinato l’olio d’oliva. La coltivazione della pianta
dell’olivo risale al 7000 a.C. circa in Siria, ma i veri e propri produttori,
commercianti e olivicoltori della storia furono gli Etruschi popolo che
occupava il territorio italiano dall’attuale Emilia Romagna, Toscana fino alla
costa Laziale prima dello sviluppo della civiltà romana. Seppur la
panificazione abbia i suoi padri negli egiziani, che furono i primi a
riconoscere la professione di Fornaio, si deve ai Greci il primo pane con olio
e olive. A loro volta i greci importavano il frumento dall’Egitto perché le geo
localizzazione delle terre non consentiva la coltivazione di questo cereale che
amava la pianura e la fertilità del Nilo. Furono i primi a creare i forni
pubblici e divennero anch’essi ben presto degli abili panificatori offrendo
sempre a Demetra, Dea della Madre Terra, il pane frutto del lavoro della Terra.
A loro volta, da schiavi e prigionieri dei romani, insegnarono a questo popolo
l’arte panificatoria e ben presto i romani divennero abili agricoltori, mugnai
e panificatori. Furono i primi ad
ampliare le aree destinate alle coltivazioni di grano e a fare i primi incroci
botanici per migliorare la qualità e la resa del frumento (prima era consumato
il farro!). Il pane divenne ben presto
simbolo distintivo di classe sociale e cibo espressamente realizzato per ogni
occasione. Per quanto riguarda invece l’olio, il problema dell’epoca era dovuto
al fatto che questo grasso era scarsamente utilizzato come alimento e quando lo
era rappresentava anch’esso una vera e propria distinzione di civiltà e ceto. Era
il condimento simbolo della nobiltà romana. Per i romani, i popoli che usavano
l’olio come grasso alimentare erano definiti civili, mentre quelli che non lo usavano erano barbari. Gli stessi romani cosi come i greci e i popoli che
abitavano la Palestina, però destinavano l’utilizzo principale dell’olio all’illuminazione
soprattutto nelle catacombe e la Bibbia stessa riporta numerosissime citazioni
in cui si evidenzia il suo utilizzo nelle lampade. Oltre a ciò era decisamente
un ottimo medicinale, unguento e rassodante dei muscoli degli atleti per
renderli più forti e dare loro energia nel combattimento. Indicativamente il
476 a.C. segnò una svolta di civiltà e cultura; non rappresenta solo l’inizio
della decadenza dell’impero Romano, ma la distruzione dei forni pubblici, il
passaggio alla panificazione privata e l’inizio di secoli di carestie, dazi,
guerre e calamità naturali che videro nel pane il simbolo di mancanza di cibo, povertà
assoluta e lotte sociali. Tra il 1600 e il 1700 sul territorio italiano non
c’era frumento e la gente si accontentava di macinare quello che trovava
comprese le ghiande e i lupini. Rappresentativa dell’epoca fu la rivolta di S.
Martino con il classico assalto ai forni descritto da A. Manzoni. Se da una parte mancava quindi il grano e
l’olio d’oliva, soprattutto nell’Italia settentrionale, era usato per i
saponifici e l’industria della lana, dall’altra la mozzarella di bufala già era
citata nei libri di cucina del 1570 e aveva fatto il suo ingresso in Italia il
pomodoro sempre in quegli anni. Nel settore gastronomico l’Italia era divisa;
al Sud con il diffondersi della pizza 1700 – 1800 si diffondeva anche la
coltura dell’olio come condimento alimentare, mentre al Nord restava una
frontiera quasi invalicabile a favore del burro, del lardo e della sugna.
Occorre risalire alla tipicizzazione di alcuni prodotti di arte bianca locali
del Nord per trovare la citazione dell’olio d’oliva nella formulazione
dell’impasto. E’ abbastanza curioso e singolare leggere la storia di alcuni dei
prodotti che ancora oggi segnano dei capisaldi della cucina tradizionale e
capire come anche in quei casi la formulazione dell’impasto con olio d’oliva fu
prettamente casuale rilevando ancora una volta la poca considerazione di questo
grasso nella cucina dell’Italia settentrionale. Senza mancare di rispetto a nessun prodotto tradizionale
italiano, ma dovendo per ovvi motivi rappresentarne solo un paio, mi pare
doveroso prendere ad esempio sia la farinata
di ceci sia la fugassa genovese
come prodotti rappresentativi di quella che per l’epoca era simbolo di povertà
nel settore dell’arte bianca oltre a rappresentare una rarità per l’utilizzo
dell’olio d’oliva. La prima risale al 1284 dopo la battaglia di Meloria in cui
i Genovesi sconfissero i Pisani. Durante una tempesta tutte le stive delle navi
furono sommerse di acqua salata rovesciando i contenitori di olio (la cui
presenza nelle stive si dubita fosse espressamente per scopi alimentari) e i
sacchi di farina di ceci. La forza del mare fece il resto! Avendo esaurito le
scorte alimentari, i genovesi costrinsero i prigionieri pisani a mangiare
quella mistura la quale, finita la tempesta e con il calore del sole, divenne
un ottimo cibo. Da quel momento i Genovesi chiamarono quel prodotto Oro di Pisa e con Decreti Successivi di
cui uno del 1447 imponevano l’utilizzo di buon olio d’oliva per la sua
formulazione. La fugassa genovese, il cui termine deriva da fuga nel senso di “andare di fretta”, invece
era il cibo dei poveri, a basso costo, usata per sfamare la gente e consumata
in piedi e appunto di fretta. La bibliografia la fa risalire al 1500, anche se
qualcuno fa datare la sua invenzione intorno al 1200. La sua formulazione era
semplicissima: farina, acqua, sale, lievito e olio. Nel 1500 il suo consumo si
diffuse immediatamente soprattutto nelle Chiese durante le cerimonie, matrimoni
e funerali compresi, tanto che suscitò ben presto le ire dei Vescovi di allora
che impedirono il consumo in Chiesa, ma non certo all’esterno! Continuò a
essere consumata e molto apprezzata dai genovesi diventando uno dei simboli
gastronomici della città. Anche se la
storia non sempre ha condiviso l’abbinamento pane e olio a mio parere la
definizione: Il pane è vita, l’olio la
sua anima rappresenta una verità assoluta sia in termini tecnologici sia
religiosi in cui il pane è il corpo di Cristo e quindi vita, mentre l’olio la consacrazione, elevazione e salvezza divina
quindi anima. La vita e l’anima,
almeno nella nostra esistenza terrena, sono una cosa sola e pertanto non si può
parlare di pane se non si cita l’olio extravergine d’oliva: sia per degustarne
i fruttati più o meno intensi su una fetta di pane leggermente caldo sia per
apprezzarne le implicazioni tecnologiche sulle caratteristiche sensoriali e
conservative del pane. Solo per citare l’azione principale dell’olio d’oliva
sul raffermimento del pane è doveroso riportare alcune implicazioni di
carattere fisico e chimico – fisico che prevedono: un’efficacia maggiore
dell’azione dei lipidi insaturi cis sui complessi di amilosio, prevenzione
della gelatinizzazione, impedimento della migrazione delle molecole di acqua
tra amido e proteine e riduzione dell’evaporazione superficiale, della
sublimazione e del valore di aw del prodotto. E’ abbastanza
intuibile come l’azione chimica e chimico – fisica dei lipidi insaturi non si
riferisca solo al raffermimento, ma vada ben oltre questa fase di shelf – life,
esercitando un’azione sinergica positiva in termini di: proprietà reologiche
della struttura glutinica, lubrificante, colorazione della crosta, sviluppo di
maggiori aromi se abbinato a specifiche lavorazioni, congelamento/scongelamento,
espansione degli alveoli e conseguentemente incremento del volume, inibizione
microbica, ecc. Partendo quindi dal concetto che: La storia del pane è la storia stessa dell’uomo, dei
popoli, del progresso, delle civiltà, delle tradizioni, delle lotte che sempre
e dappertutto si combatterono per il miglioramento sociale e per la libertà.
Non conosce inventori, ma è … patrimonio dell’intera umanità! e basandomi sull’estrema attualità del principio di
Fauerbach, in una realtà di falsi e contraffazioni, ritengo vitale questo
convegno e doveroso che ciascuno di noi s’impegni a tutelare la nostra storia,
diffondere e difendere le nostre tradizioni e le vere realtà italiane di pane,
olio, vino, ecc. Cosi facendo… tuteleremo noi stessi e le generazioni future.