Avevo
circa ventitré anni quando dovetti affrontare uno degli esami più ostici del
mio percorso di studi universitario, quello di Industrie Alimentari 2. Anche in
quell’occasione sugli appunti di un allora già abbastanza attempato professore
spuntava la definizione e la distinzione operativa tra il metodo diretto e
quello indiretto in panificazione. Questo per dire che alcune metodiche di
lavoro si definiscono indirette/dirette da sempre, riconosciute a livello
universitario mondiale su tutti i testi di panificazione in commercio
(americani, francesi, tedeschi, italiani) e rappresentano verità indiscutibili e
incontestabili sia per i panificatori sia per i pizzaioli. Rappresentano i
cosiddetti dogmi, capisaldi o elementi basilari sui quali da anni si è
costruita la tecnologia di panificazione e sui quali si possono magari fare
brutte figure o addirittura essere “mandati a casa” durante un esame
universitario se non si sono ben compresi o ancora peggio, se si hanno le idee
per cosi dire… un pochino “confuse”. Proprio perché le definizioni sono molto
chiare, non lasciano spazio né a interpretazioni personali o soggettive né
tanto meno si prestano ad affermazione del tipo: “… ma secondo me… la lavorazione potrebbe essere indiretta… ”
Ribadisco che, come tutte le definizioni in campo scientifico, non sono a
libera opinione o interpretazione personale, ma vanno prese per quello che appaiono
perché rappresentano una certezza assoluta universalmente riconosciuta. Rientra
quindi in queste certezze assolute la definizione esatta di metodo indiretto e
diretto discontinuo, ossia la spiegazione tecnico - scientifica del metodo di
lavoro adottato. Si definisce pertanto metodo
diretto di lavoro, il metodo a
una sola fase in cui cioè si uniscono gli ingredienti in qualsiasi quantità
essi siano rappresentati (farina, acqua, sale, olio, malto, lievito compresso
ecc.) e si procede con l’impastamento. La metodica di lavoro diretto è forse la lavorazione più
“veloce” in termini di tempo perché non prevede l’utilizzo d’impasti prodotti
in precedenza (lievito di pasta acida o madre, biga, poolish, pasta di riporto)
o che abbiano subìto un periodo di riposo, atti a renderli idonei per la
seconda fase. La metodica diretta è quindi a un’unica fase in cui tutti gli
ingredienti sono miscelati insieme per poi procedere in seguito con
l’impastamento. Conseguito l’impasto, in base al prodotto che si deciderà di
ottenere, si procederà con le fasi successive. Qualsiasi esse siano, da questo
momento in poi, rientrano comunque nella metodologia diretta se la lavorazione
è appunto a una sola fase. E’ chiaro che, variando le fasi (tempi, temperature,
presenza/assenza di uno step produttivo ecc.) si procederà con suddivisioni di
nomenclatura dello stesso diretto. Se un impasto per pizza/pane ecc., dopo la
fase d’impastamento, subisce uno stoccaggio o maturazione in frigorifero a +4°C
per 12 – 24 – 48 – 3gg -4 gg sarà sempre diretto, ma rientrerà nella
classificazione dei diretti più o meno
lunghi in funzione dei tempi di maturazione/stoccaggio. Un impasto per pane
soffiato senza biga, ma con 0.8% di lievito compresso rientrerà nella
lavorazione diretta lunga poiché subisce un riposo che può arrivare fino a 24
ore a +18°C. Non è quindi, il passaggio o meno in frigorifero di un impasto che
identifica il metodo di lavoro, oppure la percentuale di utilizzo del lievito
compresso, o il fatto di decidere di fermare l’impastatrice durante
l’impastamento, la presenza o meno di una fase di lavoro dopo l’impastamento, ecc.,
come appunto, ancora qualcuno pensa: “Se
lo metto in frigorifero a maturare è indiretto se invece la maturazione la
conduco a temperatura ambiente è diretto…” o ancora “ se fermo la macchina 5 min è indiretto in caso contrario è diretto”
oppure “…se lavoro con lo 0.1% di lievito
compresso è indiretto invece con lo 0.5% è diretto” ecc., perché sono fasi
successive all’impastamento e la metodica non dipende neanche dalla percentuale
degli ingredienti utilizzati. In questo caso, ripeto, qualsiasi conduzione di
lavoro si decida di operare dopo l’impastamento degli ingredienti, la metodica
di lavoro ricade sempre ed esclusivamente in quella diretta. Il metodo indiretto
invece è universalmente conosciuto come metodo a due fasi in cui la
prima si riferisce proprio alla sequenza operativa legata alla preparazione
della biga, lievito madre o di pasta acida naturale (preparazione, rinfreschi e
quant’altro!), poolish, pasta di riporto, mentre la seconda riguarda l’utilizzo
di queste masse, in percentuale variabile, nell’impasto finale. La prima fase è
quindi quella in cui si uniscono gli ingredienti e si preparano: biga, poolish,
madre, pasta di riporto e si conclude con la realizzazione di essi; la seconda
invece, inizia quando si prendono le masse in fermentazione preparate nella
prima fase e si aggiungono i restanti ingredienti previsti dalla ricetta. In
gergo operativo si dice anche: “Ho
operato un rinfresco con il doppio/triplo/metà della farina, ecc.” Anche in
questo caso, non sono le fasi successive all’impastamento che determinano la
differenza tra diretto/indiretto, ma il fatto che si utilizzi un “impasto” come
la madre, biga, poolish, pasta di riporto preparato in precedenza. Detto ciò,
non è un’opinione personale dire che l’impasto con la madre è una lavorazione
indiretta, ma propriamente una certezza riconosciuta da sempre e da chiunque
operi in questo settore. Automaticamente vengono meno, perché invalidate
scientificamente da testi universitari e pubblicazioni decennali in proposito,
le affermazioni estremamente erronee. “Secondo
me… la lavorazione con la madre è una lavorazione diretta!” oppure ancora
peggio “La lavorazione con la madre è diretta
perché ho stabilito così e voglio fare, d’ora in avanti, innovazione!”
oppure “Questo vale solo per il pane e
non per la pizza!” E’ vero, il
settore è ricettivo a innumerevoli innovazioni tecniche (pre-gelatinizzazione
dell’amido, impego di probiotici, claims salutistici, functional food, azione
mirata di alcune proteasi ecc.) salutistiche, nutrizionali, gusti e consumi, farine
utilizzate, abitudini e tradizioni, ricerca di nuove farciture, ecc. (Guai se
così non fosse, perché vorrebbe dire che non c’è più futuro!), ma qualsiasi
innovazione si voglia apportare, queste distinzioni tecniche assolute, basilari
e precise tra le due metodiche restano e resteranno i principi fondamentali, elementari
e incontestabili della tecnologia dei processi produttivi in
panificazione/pizzeria/pasticceria ecc. Ognuno è libero di pensare come meglio crede,
ma attualmente e fino a prova contraria la panificazione è ancora scienza… non fantascienza!