giovedì, novembre 20, 2014

Diretto o indiretto: dogma, principio elementare o interpretazione personale?



Avevo circa ventitré anni quando dovetti affrontare uno degli esami più ostici del mio percorso di studi universitario, quello di Industrie Alimentari 2. Anche in quell’occasione sugli appunti di un allora già abbastanza attempato professore spuntava la definizione e la distinzione operativa tra il metodo diretto e quello indiretto in panificazione. Questo per dire che alcune metodiche di lavoro si definiscono indirette/dirette da sempre, riconosciute a livello universitario mondiale su tutti i testi di panificazione in commercio (americani, francesi, tedeschi, italiani) e rappresentano verità indiscutibili e incontestabili sia per i panificatori sia per i pizzaioli. Rappresentano i cosiddetti dogmi, capisaldi o elementi basilari sui quali da anni si è costruita la tecnologia di panificazione e sui quali si possono magari fare brutte figure o addirittura essere “mandati a casa” durante un esame universitario se non si sono ben compresi o ancora peggio, se si hanno le idee per cosi dire… un pochino “confuse”. Proprio perché le definizioni sono molto chiare, non lasciano spazio né a interpretazioni personali o soggettive né tanto meno si prestano ad affermazione del tipo: “… ma secondo me… la lavorazione potrebbe essere indiretta… ” Ribadisco che, come tutte le definizioni in campo scientifico, non sono a libera opinione o interpretazione personale, ma vanno prese per quello che appaiono perché rappresentano una certezza assoluta universalmente riconosciuta. Rientra quindi in queste certezze assolute la definizione esatta di metodo indiretto e diretto discontinuo, ossia la spiegazione tecnico - scientifica del metodo di lavoro adottato. Si definisce pertanto metodo diretto di lavoro, il metodo a una sola fase in cui cioè si uniscono gli ingredienti in qualsiasi quantità essi siano rappresentati (farina, acqua, sale, olio, malto, lievito compresso ecc.) e si procede con l’impastamento. La metodica di lavoro diretto è forse la lavorazione più “veloce” in termini di tempo perché non prevede l’utilizzo d’impasti prodotti in precedenza (lievito di pasta acida o madre, biga, poolish, pasta di riporto) o che abbiano subìto un periodo di riposo, atti a renderli idonei per la seconda fase. La metodica diretta è quindi a un’unica fase in cui tutti gli ingredienti sono miscelati insieme per poi procedere in seguito con l’impastamento. Conseguito l’impasto, in base al prodotto che si deciderà di ottenere, si procederà con le fasi successive. Qualsiasi esse siano, da questo momento in poi, rientrano comunque nella metodologia diretta se la lavorazione è appunto a una sola fase. E’ chiaro che, variando le fasi (tempi, temperature, presenza/assenza di uno step produttivo ecc.) si procederà con suddivisioni di nomenclatura dello stesso diretto. Se un impasto per pizza/pane ecc., dopo la fase d’impastamento, subisce uno stoccaggio o maturazione in frigorifero a +4°C per 12 – 24 – 48 – 3gg -4 gg sarà sempre diretto, ma rientrerà nella classificazione dei diretti più o meno lunghi in funzione dei tempi di maturazione/stoccaggio. Un impasto per pane soffiato senza biga, ma con 0.8% di lievito compresso rientrerà nella lavorazione diretta lunga poiché subisce un riposo che può arrivare fino a 24 ore a +18°C. Non è quindi, il passaggio o meno in frigorifero di un impasto che identifica il metodo di lavoro, oppure la percentuale di utilizzo del lievito compresso, o il fatto di decidere di fermare l’impastatrice durante l’impastamento, la presenza o meno di una fase di lavoro dopo l’impastamento, ecc., come appunto, ancora qualcuno pensa: “Se lo metto in frigorifero a maturare è indiretto se invece la maturazione la conduco a temperatura ambiente è diretto…” o ancora “ se fermo la macchina 5 min è indiretto in caso contrario è diretto” oppure “…se lavoro con lo 0.1% di lievito compresso è indiretto invece con lo 0.5% è diretto” ecc., perché sono fasi successive all’impastamento e la metodica non dipende neanche dalla percentuale degli ingredienti utilizzati. In questo caso, ripeto, qualsiasi conduzione di lavoro si decida di operare dopo l’impastamento degli ingredienti, la metodica di lavoro ricade sempre ed esclusivamente in quella diretta. Il metodo indiretto invece è universalmente conosciuto come metodo a due fasi in cui la prima si riferisce proprio alla sequenza operativa legata alla preparazione della biga, lievito madre o di pasta acida naturale (preparazione, rinfreschi e quant’altro!), poolish, pasta di riporto, mentre la seconda riguarda l’utilizzo di queste masse, in percentuale variabile, nell’impasto finale. La prima fase è quindi quella in cui si uniscono gli ingredienti e si preparano: biga, poolish, madre, pasta di riporto e si conclude con la realizzazione di essi; la seconda invece, inizia quando si prendono le masse in fermentazione preparate nella prima fase e si aggiungono i restanti ingredienti previsti dalla ricetta. In gergo operativo si dice anche: “Ho operato un rinfresco con il doppio/triplo/metà della farina, ecc.” Anche in questo caso, non sono le fasi successive all’impastamento che determinano la differenza tra diretto/indiretto, ma il fatto che si utilizzi un “impasto” come la madre, biga, poolish, pasta di riporto preparato in precedenza. Detto ciò, non è un’opinione personale dire che l’impasto con la madre è una lavorazione indiretta, ma propriamente una certezza riconosciuta da sempre e da chiunque operi in questo settore. Automaticamente vengono meno, perché invalidate scientificamente da testi universitari e pubblicazioni decennali in proposito, le affermazioni estremamente erronee. “Secondo me… la lavorazione con la madre è una lavorazione diretta!” oppure ancora peggio “La lavorazione con la madre è diretta perché ho stabilito così e voglio fare, d’ora in avanti, innovazione!” oppure “Questo vale solo per il pane e non per la pizza!”  E’ vero, il settore è ricettivo a innumerevoli innovazioni tecniche (pre-gelatinizzazione dell’amido, impego di probiotici, claims salutistici, functional food, azione mirata di alcune proteasi ecc.) salutistiche, nutrizionali, gusti e consumi, farine utilizzate, abitudini e tradizioni, ricerca di nuove farciture, ecc. (Guai se così non fosse, perché vorrebbe dire che non c’è più futuro!), ma qualsiasi innovazione si voglia apportare, queste distinzioni tecniche assolute, basilari e precise tra le due metodiche restano e resteranno i principi fondamentali, elementari e incontestabili della tecnologia dei processi produttivi in panificazione/pizzeria/pasticceria ecc. Ognuno è libero di pensare come meglio crede, ma attualmente e fino a prova contraria la panificazione è ancora scienza… non fantascienza!

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