In questi ultimi mesi, non si
parla d’altro che di madre o lievito di pasta acida naturale facendolo passare
per la scoperta del secolo (convegni, corsi, articoli su testate, su web, simposi,
polemiche ecc.) e, a mio avviso, con tutta onestà scientifica e microbiologica con
svariate per non dire impressionanti imprecisioni sia tecniche sia
microbiologiche. Giusto per riassumerne alcune: “La madre non contiene Saccharomyces cerevisiae e se, anche ci
fosse, sarebbero ceppi di blastomiceti differenti dalla cultura pura di S. cerevisiae fresco” (impossibile
microbiologicamente perché essendo ascospore provenienti per riproduzione
sessuata dalla cellula madre, andando a contaminare la madre sotto quella forma,
mantengono inalterato il genoma e tutte le caratteristiche strutturali,
fisiologiche metaboliche della cellula madre!), “Il lievito di pasta è naturale
mentre il S. cerevisiae, non lo è”, “La
lavorazione con la madre è una metodica diretta” è giusto l’ultima … “Il
lievito madre è la nostra frontiera”. Su quest’ultimo punto permettetemi di
dissentire leggermente perché, ancora una volta, ritengo che non si sia
scoperta l’acqua calda in quanto il lievito madre fa parte delle nostre
tradizioni da secoli e secoli sia nel campo della panificazione sia nel settore
pizzeria. Non è un’innovazione né
tanto meno una frontiera senza il
quale, per alcuni, sembra non si possa più lavorare. In un testo di Umberto
Verona dei primi del ‘900 già si leggeva “Il
fermento naturale o di trapianto è formato da pasta inacidita, che dopo lunga e
faticosa preparazione è introdotto nella massa della pasta fresca: questo
fermento come ci viene dato dalla natura è allo stato greggio… Questi fermenti hanno
la virtù di conservare la loro proprietà all’indefinito per mezzo del
trapianto: questo è quello che chiamasi fermento naturale.” Se il testo del Verona può sembrare specifico
di panificazione, la storia stessa della pizza ci viene in aiuto. In origine la
pizza (prima del 1800), prima che fosse commercializzata nelle pizzerie, era
preparata in casa dalle massaie napoletane con della semplice farina impastata
e lievitata con il “criscito” (una sorta di “riporto” ottenuto dalla
fermentazione di un impasto precedente) per cui anche in questo caso si usava
un impasto acidificato. Per molti non è neanche una riscoperta (magari lo è
solo per pochi!) perché chi lavora con la madre, continuerà a farlo e chi non la
utilizza, può continuare a lavorare senza perché, la caratteristica del nostro
mestiere, è proprio quella di poter applicare le lavorazioni che si ritiene più
opportune con la libera scelta delle proprie convinzioni, conoscenze ed esperienza,
senza sentirsi degli incapaci. (per esempio ci sono dei pani che con il lievito
madre non possono essere realizzati!) E’ chiaro quindi che la lavorazione con
la madre sia storia accertata da millenni e millenni e tutti ne conoscevano i
pregi (etruschi compresi!). Quindi, ritengo che non si debba passare per
innovazione ciò che è semplicemente storia e tradizione. E’ vero, oggi, ci sono
molti più studi a livello universitario di due/tre secoli fa, si è arrivati
allo studio del genoma di ogni microrganismo, all’estrazione degli enzimi, allo
studio dei pre e probiotici, nutraceutici ecc. e chissà quale futuro ci riserva la
microbiologia e la biochimica in questo settore, permettendo agli artigiani di
lavorare con molte più informazioni scientifiche specifiche sulle madri
(identificazione microbica, differenze microbiologiche e metaboliche nelle
gestioni, utilità dei rinfreschi per la coltura e motivazioni biochimiche e
fisiche del bagno ecc.). Diciamo che, per un lungo periodo, qualche artigiano
poco consapevole, ha considerato questa tecnica di lavoro, solamente una
perdita di tempo dimenticandosi troppo spesso e troppo velocemente degli
insegnamenti dei loro padri per svariati motivi tra i quali: comodità, rapidità
e barlume di facili guadagni. E’ chiaro che questo buco generazionale di
conoscenze e tecniche inizia a farsi sentire e i pochi hanno la necessità di
mettersi al passo con i tempi. Mi sembra però più rispettoso e corretto
affermare che la madre potrebbe essere intesa come un’evoluzione di un concetto
fortemente tradizionalista nello stesso modo in cui si evolvono, adattandosi
alla variazione delle abitudini socio alimentari, molti altri aspetti legati
alle nostre tradizioni storiche. A mio
parere, non sembra corretto neanche affermare che senza la madre non si può
lavorare, perché se è vero che impartisce sensazioni organolettiche,
digeribilità e shelf life impagabili, è anche vero che vi sono altre tecniche
che permettono di raggiungere ottimi livelli qualitativi a favore di una più semplice
gestione. Ritengo pertanto che la madre sia e resti storia e tradizione;
al massimo potrà appunto essere intesa come evoluzione
della tradizione, ma non certo né innovazione
né tanto meno futuro del settore. Ci
sarà futuro e innovazione se si rispetterà il passato, il presente e le libere
scelte di ciascuno.
- PIZZA E PASTA anno XXIV, numero 02, 28 - 32, 2013 -
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